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06.12.2006 Roma
location: Teatro Tendastrisce
recensione: grazie a Mariagloria Fontana



Afterhours-6 dicembre 2006 Roma-Teatro Tendastrisce
“Violami in un tempo di ro(se)ck”

In apertura, ci avvolge una timbrica profonda a metà fra Lou Reed e un redivivo Mark Sandman. Si chiama Giovanni Ferrario, membro dei Micevice, artista poliedrico, già co-produttore e collaboratore degli Scisma, Morgan e Hugo Race. La sua è un’ esecuzione “one man band”, solo voce e chitarra elettrica, morbida e sensuale. Ma siamo in trepidante attesa per gli Afterhours, per questa che sarà l’ultima data romana prima del nuovo disco e, dunque, non li rivedremo prima del 2008. Il concerto inizia con un vecchio pezzo tratto da “Hai paura del buio?”: “Elymania” e il pubblico, il Tendastrisce trasuda gente di umana varietà, li accoglie come grandi rockstar, i Rolling Youth nostrani. Un’altra “vecchia” sorpresa è “Lasciami leccare l’adrenalina”, secca, decisa e schizzatamente travolgente. Per la serie: “amarcord”, un’ incisiva “Ossigeno” (era dai tempi del Cinecittà village che non la sentivo live!) in una versione velocizzata rispetto a quella originale. In “L’inutilità della puntualità” Agnelli si scatena con la gestualità, la mimica e lo strumentale finale esaurisce il pezzo. Prette colpisce deciso in “È la fine la più importante”. Giusto qualche breve assolo chitarristico per poi rallentare e riprendere in un crescendo elettrico distorto. Ed ecco i reiterati battiti di mani e ritmiche che picchiettano la “Vedova bianca” ad ogni colpo di cassa e rullante, arrivano pure i brividi. “Tutto fa un po’ male” lascia spazio alla voce sola e alle parole, alternati a tratti dallo strumentale che scoppia roboante e lesivo. “È una canzone un po’ vecchia”, afferma Manuel e parte “Sulle labbra” che vira nel finale in riff di natura psych. Arriviamo sin nei gironi infernali di “La sottile linea bianca”, dove si tocca il punto più alto della serata. La vocalità gioca su due registri, prima quasi in falsetto, poi un tono decisamente più basso, più grave ci dà un pugno in pieno stomaco sino alle urla disperate e la platea è ormai dipendente…bisogna essere mostruosamente superficiali per non sentire la rabbia, l’amarezza e la forza degli Afterhours e qui siamo davvero ai massimi livelli per la band… Segue “Bunjee Jumping” e la “profetica”, come la definisce lo stesso Manuel, “Questo pazzo mondo di tasse”, in cui il violino di Dario Ciffo vive musicalmente accanto alle chitarre psych/noise, come fosse un’ulteriore chitarra. Agnelli in rosso e pelle nera è un mefistofelico seduttore di anime,che vìola ogni interrogativo, fuga qualunque certezza, spargendoti addosso una brutale benzina di straordinaria verità. Le antinomie afterhoursiane per eccellenza sono condensate liricamente e melodicamente in “Quello che non c’è”. Non sai mai, quando sei lì ad ascoltarla dal vivo, quanto soffrirai-gioirai. Ed ecco, invece, esplode l’alba meravigliosa e necessaria, anche di chi scrive, in un coacervo di luci interiori emotive e straripanti. Ancora una volta, il violino che piange ci ridesta dall’alba nuova nel finale impazzito che si tramuta in un prog ’70. C’è tutto qui, stasera, c’è la forza espressiva degli accenti di Agnelli in “La gente sta male”, un “vorrei” marcato sulla “i” che digrigna i denti, sospeso, e si apre verso una nuova possibilità che prima di essere armonica, è tutta metaforica. Una copertura di rock screziato e riff distortamente acidi si susseguono in “Il sangue di Giuda”. “Dentro Marilyn” è sempre conturbante, mentre l’ultimo pezzo, “Il mio ruolo”, può tranquillamente scivolare via in sordina. Ma i nostri rientrano, accolti da ovazioni, regalano due bis, composti da tre e quattro pezzi. Empaticamente efficace, ancora una volta, l’ensemble Afterhours. Nel primo bis, c’è posto per “Strategie”, poi “Pelle”, di un rock struggente, in una ritrovata componente chitarristica e non pianistica alla quale eravamo abituati. Infine, la scarna, ma sempre maledettamente bella“Voglio una pelle splendida” … Agnelli racconta la sua versione della “nausea”, la sua, che è poi quella di ciascuno di noi. Per questo nell’immaginario giovanil-generazionale, lui è l’eroe perso, che resta in piedi e che ha il coraggio di continuarsi a fare domande che forse era meglio non farsi mai… “Stasera- afferma -è una serata magica, tante volte a Roma, ma come stasera mai”…Non è un caso che stasera in scaletta le parole “risorgere” e “stabilità” ricorrano di frequente, come pure i termini corrispettivi opposti, “morire” e “instabilità”. Chiude l’ultimo bis, dopo una pervasiva “Milano circonvallazione esterna”, Manuel al piano e voce con “Oceano di gomma”, sempre di un’ assurda, tagliente malinconia. Infine, saluta, sembra quasi commosso “Mister Afterhours”. Scompaiono fra le quinte. Mentre tutti stiamo andando via, a luci accese, a sorpresa, ci attraggono gli accordi di un piano e una voce…riconosco “Live let Die” della ex-band post-Beatles, i Wings, di Paul McCartney… Agnelli al piano, da solo dapprima, poi seguito da tutto il resto della band danno vita ad una immaginifica improvvisazione nostalgica. E come se non bastasse a farci tornare i già citati brividi, eseguono sul finale: “ The Long and Winding Road” dei Fab 4. Impossibile non emozionarsi, non coinvolgersi, non essere violati nella prossimità della propria intimità, proprio lì: fra dolore e gioia…ciascuno di noi tornando verso la lunga e tortuosa strada …

Mariagloria “Lipsticktraces” Fontana