Attivo dal 07.05.2002 | Sito non ufficiale
registrati |
login
| oppure accedi con
SEGUICI SU:
02.09.2006 Ospedaletto
location: Area Expo'
recensione: grazie a puntoG



I n t e r f E r e n z e

Caffè delle arti – Festa de L’Unità, Pisa
Tavolini disseminati in sala…tovaglie bordeaux e candele: un po’ bordello dal sapore orientale, piccolo palco da fissare in attesa della materializzazione ritardataria dell’Agnello (ormai Agnello di famiglia).
Primo ad arrivare, con una puntualità sorprendente: Giorgio. Anzi, unico ad arrivare. Il fonico mi guarda come a dire: “Visto?”. Gli avevo predetto un ritardo abissale..ok ok: fonico 1, gianna 0.
Mi guardo intorno: le facce dei fan sembrano tutte uguali, alcune vagamente familiari: maglietta ionontremo e anche qualche cartellone spunta dalla borsetta della più tarantolata…ognuna in realtà racchiude una storia, per ognuno la parola musica assume un significato diverso. Ma forse è solo l’occhio che guarda ad essere cambiato. E l’occhio è attaccato su una testa che oltre a guardare pensa: vicino al palco un nostalgico a cui mancano solo i pantaloni di pelle, ma che è rigorosamente vestito di nero, sfoggia una improbabile conoscenza intima di ogni membro della band a partire dall’Agnello giù giù fino al meccanico che gli aggiusta il furgone. Il fonico se ne strabatte le palle: “Ma chi cazzo sono ‘sti Afterauarss?”. Vicino a loro un tipetto messo lì non si sa da chi ne perché saltella in su e in giù davanti al palco con le mani sprofondate nelle tasche, si tormenta. La Testa che pensa inorridisce: “non sarà mica lui che farà le domande?” poi razionalizza: “ Calma, qui non siamo a Bologna..c’era da aspettarselo il tuttologo/nullologo alle prime armi..”. Terrore: “Ma non è che daranno un microfono anche al Mitomane Nostalgico?!?” E infatti vengono aggiustate parecchie sedie sul palchetto.
Raggiunta questa ascetica consapevolezza e calmate di molto le mie voglie di scrivere un bel pezzo interessante per il sito, l’occhio stanco mi cade sul programma del (ormai sedicente) Caffè delle Arti…e in un posto in cui l’arte sta solo nel titolo non poteva mancare il Prof sottutto istituzionalizzato da una cattedra alla vicina Università di Pisa. Nella fattispecie la cattedra di Storia della lingua italiana. Nella fattispecie quello stronzo che a dicembre mi ha buttato fuori! Lo Stronzo infatti appare in sala che ancora Giorgio non ha posato il culo sulla sedia: l’incontro in cui presenterà l’interessante Opera dell’ennesimo sedicente artista segue a ruota quello col nostro. Nonostante tutta la mia buona volontà un sudorino freddo mi percorre la schiena: “Mi riconosce?” “Ti riconosce?” “Non ti preoccupare se ti riconosce ci metto una pezza io.” “Ok”

Ok. Come volevasi dimostrare le domande sono di routine e le risposte pure. Giorgio ce la mette tutta ma dalla chiacchierata non viene fuori nulla di nuovo, a parte quello che beve di solito Manuel prima di salire sul palco, cosa che la mia memoria non si è presa la briga di trascrivere.
Il nostro, incastrato tra il Nostalgico e il Ragazzino opta per il secondo che, in crisi salivatoria, ci mette un po’ per carburare: Cosa fanno i nostri eroi prima di salire sul palco? Quello che fanno tutti gli eroi prima della missione: rhum, telefonate ai parenti, lettura. Poi tocca al nuovo disco e al tour americano (chi mi legge ne saprà certo di più, ma io trascrivo quello che ho appuntato): sono soddisfatti, il tour è andato molto bene, al di là di ogni aspettativa, il fedele pubblico di Dulli piano piano li ha accettati. E’ stato interessante confrontarsi con gente che non li conosceva e che non sapeva tutti i pezzi a memoria, c’era solo da conquistarli con la musica senza altro tipo di mediazione, paradossalmente gli americani erano incuriositi e coinvolti di più dai pezzi in italiano, doveva apparire come qualcosa di un po’ folkloristico: come la squadra giamaicana di bob. Una curiosità: Dulli ha cercato di convincere Manuel a cantare con un accento da americano del sud. Naturalmente non ce l’ha fatta, Giorgio ha definito il tutto grottesco.
Cosa ha tenuto insieme un gruppo così eterogeneo per tanto tempo? Risposta laconica del Giorgio: “la musica”. E scusate se è poco. Poi la solita domanda sulle influenze musicali, con l’assurda pretesa del Mitomane Nostalgico per cui la musica ascoltata nell’adolescenza debba influire di più di quella ascoltata durante il resto della vita. Giorgio racconta che ha conosciuto i Beatles all’età di 5-6 anni e che non li ha più riascoltati fino a molto più tardi. Che Led Zeppelin II glielo ha fatto ascoltare la madre insegnante in una scuola serale. Alla domanda sulla musica italiana che più li ha influenzati Giorgio tiene a precisare che tutte le cover che hanno fatto gli sono state proposte e non le hanno scelte, e che ne sono derivate versioni in una certa misura “violentate”. Anche se Fossati, per esempio, ha apprezzato la loro Canzone popolare. Diverso il discorso della partecipazione al film di Chiesa: all’inizio poteva sembrare come un video: loro cantavano in playback su un palco, in realtà si sono divertiti perché hanno potuto vedere come nasce un film, cosa radicalmente diversa da un video musicale. In conclusione: “La musica che amiamo noi non è quella che ti cattura al primo ascolto, ma quella che ti entra dentro pian piano e non ti lascia più, quella immortale”. Alla fine viene fuori il solito discorso degli scarsi passaggi in radio e in tv…in sintesi: “non è un problema nostro ma della programmazione”, non confezionano la canzone o il video su misura per la tv, ma neanche la tv si interessa a loro perché non rientrano (e in una certa misura non vogliono rientrare) in quelle categorie. Quello che interessa agli after è il contatto diretto col pubblico senza intermediazioni e interferenze dei media. Mettili infatti dietro a un microfono e dovranno puntualizzare l’ovvio per una platea di affezionati fan che conoscono le risposte a memoria, offrigli una piadina e una birra e ti racconteranno le terrificanti avventure durante i primi scalcinatissimi tour e quanto è stato difficile arrivare dove sono adesso. Sarà mai possibile unire la piadina e il microfono?
E con questo abissale interrogativo che mi frulla in testa e mi fa ringraziare il Divino Paranoico, o chi per lui, di non essere una studentessa di Scienze della comunicazione, guardo Giorgio allontanasi e la fregola da preconcerto comincia a farsi sentire: ma non dovevamo essere cresciuti?

Correre verso una transenna già occupata farebbe gelare il sangue al più purista dei fan (sono stata forse io la più purista delle fan? Eravamo forse noi che per mesi non ci siamo nutriti d’altro?), ma il dovere giornalistico mi ha tenuta lontana da quella transenna e mi dovrò accontentare della terza fila. Intorno a me troppe facce conosciute per potermi sentire davvero a casa, in fondo è il concerto degli After più vicino a casa che io abbia mai visto. Ed è in questo momento che mi manca di più il vecchio Commando tosco-emiliano. Il Commando creava il mito, gli After non c’entravano nulla. Perché il Commando scriveva: era nato per scritto ed è morto in certa misura per scritto, ma il vuoto che ha lasciato è più che mai concreto. Più tardi davanti a un Manuel più in forma che mai non avrò neanche il coraggio di portare un saluto da parte di quelle facce che, malgrado tutto, erano diventate familiari anche a lui. Troppa emozione, come al solito, davanti a quel tipo in nero coi capelli arruffati: ma non siamo tutti già troppo vecchi per queste cose?
Il gruppo spalla porta a termine il suo ingrato lavoro e lascia libero il palco.
Sono contenta, cosa che ormai mi capita sempre più raramente e che non mi capitava davvero da un secolo davanti a un palco. Per un po’ mi sono illusa, ma l’ho dovuto ammettere: la musica non vince su tutto, e in questi tre anni ho visto parecchi concerti con la testa altrove e le braccia stese lungo i fianchi..ci poteva essere anche cristo su quel palco..ci poteva essere anche Manuel. L’altra sera a Pisa non è stato così. Certo, rileggendo i vecchi resoconti rimasti intrappolati in qualche pagina di memoria del mio pc fermo al 2003, capisco che quelle emozioni totali, il cuore spalancato e la ridicola venerazioni per quegli uomini non torneranno più, ma mi sono lasciata lo stesso coinvolgere dalla familiare voce calda, dai movimenti che avevo imparato ad anticipare, dalla rabbia e dal sudore. E a un certo punto mi sono sorpresa girando gli occhi sul palco e vedendo che anche lì qualcosa era cambiato: vecchie facce sono sparite e ce ne sono di nuove, è un caso che alle spalle di Giorgio, tra le quinte, non veda una donna mora con in braccio una bambina con un paio di cuffie più grandi di lei. E il concerto sembra meno tirato…l’Uomo con la chitarra là davanti, dietro al microfono, cambia tutti i ritornelli e propone versioni riarrangiate dei vecchi pezzi tentando di sviare il suo pubblico. Sui plettri adesso c’è scritto Afterhours.
Aggrappandomi alla freddezza di una sterile cronaca posso dire che l’Agnello era davvero in forma, voce piena, mai un’incrinatura, acustica buona, tanta gente e un buono affiatamento tra i vecchi e i nuovi. Particolarmente interessante Gabrielli e i sui sax che già avevo apprezzato con Parente. Hanno aggiunto un suo assolo come intro a non so quale pezzo che ho apprezzato davvero. Che dire: il rock non è tutto! Ma questo già lo sapevamo visto che ormai da anni il violino di Ciffo allieta le nostre orecchie. Ad aprire il concerto una sfilza di pezzi del nuovo album che dopo un primo periodo di rodaggio hanno assunto un loro definitivo e soddisfacente assetto live. Poi Dentro Marilyn, non so quando l’abbiano reintrodotta, ma fa sempre lo stesso effetto quando è cantata bene come l’altra sera. Divertente il momento al piano quando Manuel ci ha sfidati a riconoscere una quasi irriconoscibile Come vorrei. Bella la nuova versione di male in polvere.
Dovevamo davvero essere uno spettacolo discreto per convincere gli After a rientrare per un secondo bis quando già le luci si erano accese e ripartiva la musica registrata: alcune cover, poi Male di miele, Non si esce vivi dagli anni ottanta per un finale esplosivo. Difficile commentare canzone per canzone, la mia memoria non regge più a un tale attacco di suoni e colori. Rimane l’impressione che l’Agnello e la sua voce ultimamente siano un po’ meno caustici che un tempo, i sorrisi meno beffardi e lo spettacolo abbia un respiro più ampio con più spazio per i pezzi “lenti” mentre i brani più richiesti e famosi siano concentrati nella parte centrale e finale. Personalmente ho apprezzato davvero Oceano di gomma, che avevo sentito solo una volta live al primissimo concerto degli after nel lontano 2001. Ha un significato particolare e sentirmela arrivare addosso così, senza preavviso, mi ha fatto scendere anche qualche lacrima. Un po’ meno la deve aver apprezzata il pazzo scatenato che ha urlato a Manuel “Sei un borghese venduto!” per tutto il concerto e che si è preso un mio spintone a piene mani che l’ha fatto cadere in braccio a quello dietro. Se fai così su Oceano di gomma non sei un provocatore, sei solo uno stronzo.
Un unico rammarico: dall’ultimo loro concerto che avevo visto a Firenze a marzo hanno escluso i pezzi in inglese e ricominciato a cantarli in italiano. Mi dispiace che l’abbiano in qualche modo data vinta a quei gruppetti di stronzi che ad ogni concerto (compreso quello di Firenze) innalzavano cori da stadio in un irrefrenabile rigurgito patriottico, e anche un po’ fascista, in favore della lingua madre contro l’inglese. Magari gli stessi stronzi, presenti un po’ ovunque, che prima di conoscere gli After dichiarano con snobismo di non ascoltare musica italiana ma solo straniera.
Anche il secondo bis è scivolato via e i Nostri (come amavo scrivere un tempo) dopo essere stati presentati uno per uno da Manuel, si sono soffermati a lungo sul palco a ringraziare noi tutti, compresi gli stronzi: plettri e bacchette lanciati, Manuel con la mano sul cuore o il pugno chiuso, gli occhi lucidi che non gli vedevo da tempo.
E’ il momento in cui le luci si riaccendono, la musica registrata torna a invadere l’arena e la gente comincia a sfollare. Pochi stoici ragazzini muniti di ogni sorta di apparecchio immortalante e registrante si accalcano sulle transenne ai lati del palco. Si recuperano le borse e le felpe gettate a terra, c’è chi si picchia per una scaletta.
A questo punto, davvero, vorrei vedere in fondo, appoggiati alla transenna del mixer, un tipo lungo lungo con in bocca una sigaretta e in mano una birra insieme a una biondona con le codine che mi saluta freneticamente e piagnucola un po’ per non essere riuscita a prendere la bacchetta del suo Prette. Vorrei cercare tra la folla un cesto di capelli ricci col suo sorriso ascetico per poter scambiare qualche battuta nel bell’accento reggiano. Sentire l’esplodere di una risata inconfondibile accesa da non si sa quale doppio senso, mentre gli occhioni color nocciola seguono la dipartita dell’esile violinista. Vorrei vedere in tutto questo lo sguardo severo della mia compagna di viaggio che si sforza di disapprovare tanto groupismo, ma che alla fine ci ride su.
E invece mi ritrovo davanti al solito Manuel, anche se separati da un’insolita transenna. Mi aggiudico, dopo ringraziamenti balbettati da entrambe le parti e qualche sorriso umido, una certa quantità di grandi baci sulle guance con la familiare sensazione di ruvidezza, e me ne torno verso la mia amica ignara con il quaderno stretto tra le mani e una sola parola scritta in fretta da rileggere nelle notti più buie.


Per: Ross, Machi, Ciffola, Marlene, Luca, Silvia, Simo.
Ai bei momenti passati insieme.

Un grazie particolare a Salvo, che ha reso possibile tutto questo.