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Intervista telefonica: Manuel Agnelli
Avrò intervistato/parlato con Manuel Agnelli decine di volte, tanto che ormai comincio a pensare che mi riconosca e sospiri rassegnato ogni volta che mi sente, ma anche questa volta, subito prima che lui risponda al telefono, un brivido di emozione percorre la mia schiena.

È sempre piacevole, comunque, scambiare quattro chiacchiere con un uomo dal gran cervello come lui, soggetto dalle idee ben chiare, determinate, e con pochi peli sulla lingua.
In più, questa volta , nonostante suppongo sia tartassato da interviste continue, ha una gran voglia di parlare, e l’intervista si trasforma in un piacevolissimo dialogo. Che qui vi riporto.
Partiamo con la nostra domanda tipica: cosa pensi del Free Download?

Guarda, il proibizionismo non è mai stata la soluzione per niente. Non ha funzionato con l’alcool e bla bla bla, e non lo sarà nemmeno con la musica. Questo è poco ma sicuro. D’altra parte è impensabile pensare che i ragazzi che hanno pochi soldi vadano a spendere venti euro per un cd, se non di più, quando hanno la possibilità di sentirsi la stessa musica gratis su internet.

Quindi, voglio dire, da un certo punto di vista lo ritengo umano. Da un altro punto di vista, è vero che è una mancanza di rispetto nei confronti dei musicisti non indifferente. E questo un po’ mi dispiace. Nel senso che, ognuno è libero di pensarla come vuole, ma io non sono contento quando mi scaricano il disco, mettiamola così. Però, per chiudere, è anche vero che quando io avevo quattordici quindici anni noi ci facevamo le cassette fra di noi, tante anche, perché non avevamo i soldi per comprarci il disco. E questa cosa non ha mai fatto male all’industria musicale. Anzi non faceva che alimentare le vendite dei dischi.

Non pensi magari che uno prima ascolti qualcosa e poi possa pensare di comprare il disco?

Penso che possa succedere anche questo. Poi penso che, comunque, la musica si deve veicolare, la gente ha dei bisogni. La musica è un bisogno primario, la gente ha bisogno di sentirla, e la va a cercare e a trovare dove può. E se in negozio è troppo difficile perché costa troppo, e perché molte cose poi non si trovano, allora non vedo perché poi non dovrebbe andare su internet.

Ripeto, non sono contento se mi scaricano il disco. Però lo capisco, capisco perché succede. Quindi capisco anche che questo non è il problema più grande della discografia, anzi. Perché se la pensi paragonandolo, come ti dicevo prima, alle cassette che ci facevamo noi, questo non è il problema più grande della discografia. Il problema più grande della discografia è reinventarsi completamente perché quello che cè a livello di strutture e di mentalità ormai è morto da tempo.
Ma secondo te è possibile abbassare realmente i prezzi dei dischi?

Ma certo che è possibile. È possibile davvero. Il problema vero è che il mercato è in mano per il 95% a delle multinazionali alle quali importa solo del fatturato. Ma solo e unicamente del fatturato! E per aumentare il fatturato di un tot per cento all’anno, o per non farlo diminuire, questi fanno tutti i giochi possibili ed immaginabili. Tutto tranne il tutelare la musica, o lavorare sulla qualità della musica. Questo è uno dei problemi più grandi. È proprio strutturale il problema.
Va bene, cambiamo argomento che è meglio e parliamo un po’ di voi che è più interessante..

Più allegro magari…(ride)
Si, anche perché questi sono discorsi sui quali, quando se ne discute, ci si trova d’accordo tutti ma pare che la cosa non cambi mai…

No, la cosa non cambia perché è vero che le multinazionali non hanno una persona a capo di tutto. Hanno dei manager che passano da una porta all’altra e a cui importa soltanto della propria carriera..
Manager che fino al giorno prima erano alla FIAT magari, e a cui non gliene frega niente della musica anche, tutto sommato…

Questo è poco ma sicuro..ma, guarda, neanche alla Sony, credo che gliene freghi niente della musica. La musica è una delle ultime possibilità di introito che hanno loro. Penso che a loro interessi molto di più di vendere il masterizzatore, piuttosto che gli hi-fi, piuttosto che tutto quello che poi ti può permettere di scaricare la musica da internet(risate…), perché sicuramente ci guadagnano più soldi qui che sui cd.
Va beh, parliamo un po’ di voi…dove stanno andando gli After? Nel senso che ti chiesi qualcosa di simile ai tempi di “Non è per sempre”, e tu mi hai risposto dicendomi che non avevi ben chiaro dove stavate andando, però avevi un’idea di quello che volevi fare. È ancora così, o stai più che altro recependo degli input esterni nel momento della composizione? C’è una direzione oppure segui l’ispirazione del momento?

Credo che la nostra progettualità sia piuttosto intorno alla musica, non nella musica. Nel senso che, comunque, quando si tratta di farla la musica, di comporla o di suonarla, in realtà andiamo dove ci pare e ci piace a seconda del momento. E, sinceramente credo che sia una libertà che non voglio perdere.

Non voglio dover giustificare quello che faccio con gli strumenti o quando scrivo musica. Anche se poi succede che lo devi fare. Il problema credo che stia nel fatto che parliamo troppo in questo paese. Razionalizziamo troppo, dobbiamo spiegare per forza qualsiasi cosa. Quando invece non è vero che le cose succedono così, soprattutto con la musica.
..Cioè, dovrebbe tornare tutto ad uno stadio più emozionale ….

Assolutamente si. Oltre che emozionale è anche un discorso di gusto, di sensazioni. Ma anche di volontà molto più leggere. Il divertimento conta tanto, sai, ma proprio tanto.
Soprattutto per chi suona no? Altrimenti perdi il gusto di farlo..

Certo. Per cui, anche riacquistare la leggerezza di fare musica proprio come una pulsione primordiale. Anche se poi è chiaro che rielabori le cose eccetera eccetera. Però, insomma, che ti venga da quello( dalla pulsione primordiale-ndr) è una delle cose più belle che ti possa succedere a 39 anni. E questa cosa me la tengo stretta.
Beato te… spero di arrivarci a 39 anni con l’entusiasmo che hai tu..

(ride..) ... Sicuramente
Parlando del fatto di affacciarsi sul mercato estero…cosa pensi che possa cambiare nella carriera degli Afterhours? Intendo a livello di stimoli, non di successo..naturalmente.

Hai detto bene, perché io non mi aspetto niente a livello professionale. Non mi aspetto niente perché non mi interessa. Se lo facessi a livello professionale sarei un pazzo. Mettermi a fare i tour a 39 anni all’estero da zero eccetera sarei veramente un masochista. In realtà quello che ci aspettiamo è di avere delle soddisfazioni nel migliore dei casi, dei grossi stimoli, e comunque un bel po’ di divertimento. E soprattutto il confronto con un pubblico completamente diverso dal nostro, con delle persone completamente diverse da quelle che conosciamo qua.

Oltre al fatto di prendere una bella boccata d’aria anche a livello di attitudine, a livello di testa. Perché non sei legato ad un punto di vista unico, che è quello che c’è qui nel modo di fare musica… ma lo abbiamo già visto con questo disco, guarda. C’è un’attitudine completamente diversa, purtroppo, nel nostro paese. Per certe cose mi ci riconosco, perché sono italiano al 100%, per certe cose mi da un po’ fastidio. Andare all’estero serve ad alleggerire questo tipo di sensazione. Ad avere altri punti di vista e a sentirsi più sereno con quello che fai.
Tornare a cantare, ed anche a scrivere, in inglese dopo tutti questi anni com’è stato per te?

All’inizio un po’ traumatico, ti dico la verità. Perché, come quando sono passato dalla lingua inglese all’italiano, anche in questo caso la via contraria l’ho percorsa sforzato, sospinto da altri. Perché è stato Greg Dulli (per l’ennesima volta…ex leader dei Afghan Whigs, attuale leader dei Twilight singers, grande amico di Manuel, presentissimo nella lavorazione dell’ultimo disco-ndr) che ha insistito tantissimo perché noi tornassimo a cantare in inglese.

Perché lui comunque ci considera un gruppo internazionale, e, secondo lui, dovevamo fare questo passo. In questo forse ha ragione, perché fuori dall’Italia, se canti in italiano, non ti ascoltano neanche. Però, siccome è stata un po’ una forzatura, all’inizio non è stato semplicissimo. Poi c’ho preso gusto. Decisamente. Tant’è vero che alcuni dei pezzi nuovi sono nati prima in inglese che in italiano.
E’ un po’ come andare in bicicletta, non si scorda mai…(lo so, è banale-ndr)..tanto tu avevi iniziato a scrivere così, quindi..

..Si, un po’ più duro che andare in bicicletta(ride..), forse, però si, alla fine diciamo che è diventato più naturale di quello che è. O di quello che potevo temere.
Riguardo a quello che hai appena detto, circa il cantare in italiano e come la nostra lingua rappresenti una barriera con l’estero, pensi che questa sia una cosa che potrà cambiare? Visti anche i recenti exploit all’estero di alcuni artisti italiani. Penso a, secondo me, ottimi artisti del calibro di Lara Martelli al tributo di Buckley, a Carmen Consoli sempre in america e a voi a Cannes. È la fine di un ostracismo verso la nostra lingua? O bisogna comunque cantare in inglese per farsi un giro all’estero?

Mah, credo siano dei casi sporadici. Dei casi in cui è andata così. Quando abbiamo suonato a Londra con i Twilight Singers e gli Afterhours abbiamo cantato due pezzi in inglese. Sono casi sporadici. Se tui vuoi avere un’attività, che vuol dire una serie di concerti continui, l’attenzione da parte della stampa, l’attenzione e la comprensione da parte del pubblico è necessario cantare in inglese. Detto proprio papale papale, quando io ho cominciato a cantare in italiano la cosa che mi ha convinto non è stata che tutti mi dicevano che riuscivo a farlo bene, ma è stata che ho visto un cambiamento nella reazione del pubblico, perché comprendeva quello che stavo dicendo. Il che mi emozionava.

Il fatto che sentivo una compattezza a livello di tensione da parte di chi mi stava ascoltando era una cosa tre volte più emozionante di quello che avevo provato prima. All’estero succede il contrario, cantando in italiano avremmo un muro davanti di incomprensione che comunque ridurrebbe la potenza di quello che stiamo facendo noi. La potenza comunicativa intendo. Per cui, cantare in inglese, per me, è semplicemente un modo per aumentare il contatto con chi ti sta ad ascoltare. È vero anche che artisticamente, così com’è stato in italiano per quanto riguarda la composizione dei testi, in inglese lo è per il suono delle parole, è di nuovo uno stimolo interessante. Mi sta ripiacendo cantare in inglese, a livello proprio musicale. Io farò di tutto, ma già si sente dalla musica che facciamo, per metterci dell’italianità in quello che sto facendo.
E’ una cosa che ti porti dentro, in ogni caso.. Se sei italiano sei italiano…no?

Certo, questo è fondamentale. Però…io non voglio mica andare a fare il karaoke dei Rolling Stones o dei Beatles, non me ne frega un cazzo. Abbiam quarant’anni, abbiamo già un’identità, e siamo orgoglioso di averla. Per cui, la nostra identità è italiana al 100%. Però è anche vero che non mi interessa andare a fare il presuntuoso che pensa di poter comunicare col proprio linguaggio dappertutto, perché non è così. E poi non servirebbe neanche a noi. Secondo me è molto più efficace andare cantando in inglese, che fra l’altro è un rimettersi in gioco molto più emozionante, molto più divertente, e sbatterci dentro dei pezzi in italiano, in modo che diventino quelli curiosi e non noiosi. Mi segui?
Si, si…perfettamente. Parlando d’altro, hai ancora intenzione di dedicarti alla produzione? Ho letto altrove che la tua intenzione sarebbe quella di dedicarti esclusivamente alla vostra musica.

Guarda, io ho passato molto tempo a fare delle cose molto belle. Produrre dischi, organizzare festival, parlare, andare a fare degli stage con i ragazzi sulla produzione o sulla composizione. Bellissimo. Però in realtà io sono un musicista, e voglio fare al 100% il musicista.
Quindi, per ora, ti prendi una buona pausa da tutte queste cose? Almeno così mi sembra di capire..

Si. Sto recuperando veramente questo tipo di cosa (naturalmente la musica, il suonare-ndr), che è la mia cosa, e che voglio fare fino a che sto in piedi. E sinceramente devo dirti che per produrre qualcuno deve veramente emozionarti, veramente piacerti. Perché il lavoro del produttore spesso è molto frustrante.

Perché, comunque, lavori con la musica di qualcun altro, che alla fine, per un motivo o per un altro, il 90% delle volte è scontento di quello che succede. Ho avuto a che fare con un sacco di gruppi, e diciamo che per i primi sei mesi sono entusiasti e poi appena hanno delle nuove idee tu diventi il primo capro espiatorio (ride..). non ho voglia di rivivermi queste sensazioni. Le voglio rivivere se l’artista lo merita, se veramente mi piace e non posso farne a meno di lavorare con lui.
Invece, parlando di Greg Dulli, cos’è che vi ha unito tanto rapidamente? Tu stesso, spesso, parli come di un colpo di fulmine..

Guarda, è stato che siamo due persone che apparentemente erano molto diverse fra loro e ci siamo scoperti, invece, paurosamente simili. Ti parlo di vita quotidiana, e del modo in cui pensiamo le cose. Questo è successo contemporaneamente alla musica. Perché poi, in realtà, quando ci siamo messi a suonare assieme abbiamo visto che abbiamo lo stesso processo per creare le canzoni, per scrivere i testi, per arrangiare i pezzi. È stata una cosa, all’inizio divertente, alla fine ci siamo quasi spaventati (ride…) di questo tipo di vicinanza. Devo dire che non ho mai trovato in un musicista così tante similitudini…
Una sorta di affinità elettiva…(lo so devo smetterla con gli acidi..)

Mah…si. Probabilmente si, anche se poi io sono profondamente europeo e lui è profondamente americano. Quindi abbiamo due modi di comportarci che sono abbastanza diversi. E su tante cose abbiamo anche dei gusti diversi. Però a livello di sensibilità siamo paurosamente simili, e quindi è stato davvero molto facile andare avanti a collaborare. È una cosa che non abbiamo forzato in nessun modo. Penso che lui non fosse mai venuto così spesso in Italia in tutta la sua vita.
Lui, materialmente intendo, oltre a tutta la discussione sull’attitudine e sullo “sdoganamento culturale” di cui hai parlato spesso, come ha influito sulla lavorazione del disco e dei pezzi?

Mah! È arrivato portando un sacco di idee! Un sacco di idee che potevano essere anche coincidenti con quello che già pensavamo noi. Per cui, magari, non sono diventate delle cose così gigantesche. Però c’è il fatto di registrare live, con i monitor invece che con le cuffie per esempio, proprio come su un palco, il fatto di suonare proprio con noi direttamente, mentre stavamo registrando. Ha portato anche dei riff. Abbiamo scritto dei pezzi assieme per l’album. Alcuni degli arrangiamenti.

Soprattutto il fatto che lui è da sempre influenzato dalla black music, e ha portato questo tipo di influenza, anche se subliminale, nei nostri pezzi. Però in alcune ritmiche lo puoi sentire. In “Carne Fresca”, nella ritmica di “La sottile linea bianca”, nella “Vedova bianca”. Sono tutti pezzi che hanno una ritmica abbastanza black, se vuoi. Questa cosa qua lui l’ha enfatizzata. Alcuni di questi pezzi esistevano già, lui ha enfatizzato un po’ questo tipo di direzione. È stato veramente un membro del gruppo, da tutti i punti di vista. Ed è stato anche molto deciso ma poco invasivo. Non ha avuto l’approccio violento del tipo “facciamo come dico io!”.
..Del tipo “io sono l’americano e decido io!”…

A lui piaceva come suonavamo noi, per cui, sai, è venuto per quello a lavorare con noi. Per cui non voleva distruggere quello che già di buono c’era. Voleva solamente potenziarlo il più possibile.
Voleva inserirsi in un contesto che già gli piaceva, fondamentalmente …

Credo di si, credo che fosse più o meno così..

continua...